Un gioco da bambini, di J.G. Ballard, Feltrinelli. Nel 1988, nell’esclusiva e nuovissima residenza del villaggio di Pangbourne, pochi chilometri fuori Londra, si verifica un massacro: trentadue adulti vengono trovati morti. Sono stati brutalmente uccisi nonostante i dispositivi di sicurezza e i loro tredici figli adolescenti sono scomparsi. Il delitto pare perfetto come il luogo in cui si è consumato, ed è durato solo pochi minuti. Nessuno sa come sia stato possibile e né riesce a immaginare il motivo. Per risolvere lo sconcertante caso, la polizia chiede l’aiuto di un consulente psichiatrico: saranno le sue indagini a svelare uno scenario inquietante cui nessun vuoi credere dal momento che si ipotizza la colpevolezza dei ragazzi.
Questo libro di Ballard. uscito da noi nel 2007 (ma il libro è del 1992) lascia vermente senza fiato creabdo una grande suspance, Il Pangbourne Village, meraviglioso complesso residenziale dove si svolge Un gioco da bambini, rappresenta di fatto una comunità isolata abitata da una elite di professionisti. A metà tra 1984 di George Orwell e il delirante Brazil di Terry Gilliam, questa sorta di colonia perfetta è praticamente ermetica agli estranei, e controllata da un complesso sistema di telecamere. Una presenza-assenza completamente ossessiva mantiene l’intero sistema pulito ed in ordine al punto che persino le foglie sembrano rispondere ad una precisa imposizione. I figli dei professionisti studiano nelle scuole del complesso e anche le aree di svago sono circoscritte al sistema del villaggio. Una normalizzazione dell’esistenza che di fatto provoca, com’è tradizione nei romanzi ballardiani, un punto di non ritorno, quando la forzata stabilizzazione della naturalità umana emerge in tutta la sua virulenza irrompendo con la forza di uno splatter amatoriale. Infatti il macabro destino degli abitanti è quello di venir massacrati brutalmente da sconosciuti. Gli unici superstiti e introvabili sono i figli dei dirigenti, gli unici colpevoli della strage. |