Dopo la frenesia di American Sniper e le sperimentazioni di Ore 15:17 – Attacco al treno, il ritmo di The mule è quello di un uomo cosciente che non gli rimane più molta strada da percorrere ma che non ha davvero nessuna fretta di arrivare a destinazione. Il film è un grandioso affresco degli Stati Uniti, soprattutto di quegli stati centrali nei quali si vede l’america più vera e meno alla moda, non certo quella della costa, di New York o della California. Clint Eastwood si diverte come un matto a fare il razzista, il vecchietto di 80 anni lui che di anni ne ha quasi novanta. Impressionante, e sono sicuro che nonsarà il suo ultimo film come regista, forse come attore, un attore mastodontico. Migliore film dell’anno e lo dico a febbraio.
Earl Stone, floricoltore appassionato dell’Illinois, è specializzato nella cultura di un fiore effimero che vive solo un giorno. A quel fiore ha sacrificato la vita e la famiglia, che di lui adesso non vuole più saperne. Nel Midwest, piegato dalla deindustrializzazione, il commercio crolla e Earl è costretto a vendere la casa. Il solo bene che gli resta è il pick-up con cui ha raggiunto 41 stati su 50 senza mai prendere una contravvenzione. La sua attitudine alla guida attira l’attenzione di uno sconosciuto, che gli propone un lavoro redditizio. Un cartello poco convenzionale di narcotrafficanti messicani, comandati da un boss edonista e gourmand, vorrebbe trasportare dal Texas a Chicago grossi carichi di droga. Earl accetta senza fare domande, caricando in un garage e consegnando in un motel. La veneranda età lo rende insospettabile e irrilevabile per la DEA. Veterano di guerra convertito in ‘mulo’, Earl dimentica i principi di fiero difensore del Paese per qualche dollaro in più. Ma la strada è lunga.