Film che ho rivalutato negli anni.
Fred Arctor è un agente della narcotici nascosto dentro una tuta disindividuante e infiltrato in un gruppo di consumatori abituali di Sostanza D, un acido che brucia il cervello e provoca allucinazioni. La tuta cangiante protegge la sua vera identità e la mutua in Bob Arctor, compagno di una schizzatissima brigata di tossici dislocati a Orange County, in California. Incaricato di sorvegliare un trafficante di droga e il suo giro di affari, Fred/Bob finisce per spiare se stesso, sempre più instabile per l’assunzione della sostanza D. L’abuso lo conduce alla schizofrenia, sviluppando una doppia personalità. Denunciato da Barris, un drogato informatore, ai suoi ambigui superiori di polizia, Fred/Bob finisce in una comunità di recupero ai confini col Messico, dove scoprirà che tutto è connesso: chi controlla produce e diffonde.
L’oscuro scrutare di Richard Linklater ripropone la sperimentazione estetica di Waking Life, il suo film precedente girato come un normale live action e poi ritoccato con l’animazione grafica.
Il grande cast in carne e ossa, capitanato dall’ex hacker Keanu Reeves (con Robert Downey Jr. e Woody Harrelson prodotto da Steven Soderbergh e George Clooney viene ripreso dal vivo e successivamente trasformato in disegno animato sullo sfondo mosso dal rotoscope, una tecnica che permette di ottenere un movimento animato a partire da un filmato reale. La scelta di Keanu Reeves e della cifra stilistica sono entrambi funzionali alla storia, raccontata e “clonata” dall’omonimo romanzo di Philip K. Dick. Ancora una volta, come il Neo dei fratelli Wachowski, l’attore si aliena da se stesso recuperando la sua “matrice”, la sua realtà virtuale che finisce per confondere e poi smarrire quella reale. Se le macchine creano Matrix, è un’overdose di Sostanza D. a produrre le alterazioni percettive del protagonista. Il procedimento tecnico, il ridipingere digitalmente l’immagine fotografica dell’attore, restituisce la stratificazione dell’identità del protagonista, Fred Arctor che è anche Bob Arctor, e insieme gli infiniti volti variabili della scramble suite (la tuta) dickiana. L’esperienza alterata della tossicodipendenza, la paranoia, l’incapacità di definire la realtà reale, vissute dallo scrittore statunitense e formalizzate in uno dei suoi più grandi atti di accusa contro il controllo e l’arbitrario scrutare governativo, si traducono in uno psichedelico impasto di carne e digitale. Un incubo dark che crea dipendenza.