Fu Chris Claremont, quando iniziò a scrivere le storie dei pupilli del Professor Xavier, a disseminare di indizi e di particolari il passato enigmatico dell’artigliato mutante canadese. Anno dopo anno, Chris ci fece comprendere che le origini di Logan erano molto complesse e che l’identità dell’uomo che lo aveva sottoposto all’esperimento che lo aveva dotato dello scheletro di adamantio non era certamente l’unico segreto che lo riguardava.
Ma nei primi anni novanta Claremont abbandonò momentaneamente la Marvel, a causa di dissapori con l’allora direttore editoriale Bob Harras, e altri cartoonist si occuparono di Wolverine e dei mutanti Marvel. Le origini di Wolvie, quindi, rimasero insolute e nessun autore ebbe il coraggio e la capacità di affrontare l’argomento e risolverlo.
Tuttavia, quando Joe Quesada diventò editor in chief della Casa delle Idee, decise che le origini di Wolverine dovevano essere narrate una volta per tutte. Ma non affidò l’incarico a Claremont, come forse sarebbe stato logico (per ragioni, sinceramente, a me ignote), ma all’inglese Paul Jenkins, scrittore proveniente dalla Vertigo e che si era fatto notare per una interessante gestione di Hellblazer ma che aveva anche fatto parlare di sé alla Casa delle Idee con bizzarre storie dell’Uomo Ragno e con due splendide miniserie: la stupenda Inhumans e la non meno valida Sentry.
Jenkins non si fece intimidire dall’impresa e scrisse Wolverine: Origin, coadiuvato alle matite il fantastico Andy Kubert e dal bravissimo colorista Richard Isanove. Spiazzando tutti, Jenkins ambienta la storia in pieno ottocento e ci racconta le vicissitudini di James Howells (vero nome di colui che tutti conoscono come Logan), rivelando particolari decisamente inquietanti sulla sua famiglia (specie sulla madre di James) e chiarendo finalmente la reale natura dei rapporti intercorrenti tra Wolverine e il terribile Sabretooth.
Oltre a ciò, Jenkins inserisce un personaggio femminile, Rose, che si rivela essenziale nell’economia narrativa della miniserie. Il fumetto è oggi ricordato come uno dei migliori esiti creativi di Jenkins e della Marvel di Joe Quesada, grazie ai testi dello scrittore, introspettivi e intensi, senza mai essere verbosi, e per le situazioni descritte.