Io sono il primo detrattore dei film italiani, me ne faccio un vanto del fatto di scrivere sempre che in Italia non si facciano altro che cinepanettoni e sciocchezze simili percui quando un autore ha il coraggio di proporre al cinema un thriller ambientato in italia mi esalto subito, come qualche anno fa per La ragazza del lago di Andrea Molaioli.
La misura del confine, di Andrea Papini si svolge nei dintorni del Rifugio Vigevano a quota 2900, al Col d’Olen sopra Alagna Valsesia sul massiccio del Rosa.
Inizia tutto come una sorta di cronaca che documenta una spedizione scientifica per poi tramutarsi in giallo investigativo mettendo a confronto i due protagonisti, i tipografi Valletti, svizzero, interpretato da Paolo Bonanni, e Bruschetta, italiano, interpretato da Giovanni Guardiano, noto per le sue partecipazioni nella serie di successo “Il commissario Montalbano”, l’uno sistematico, l’altro molto approssimativo, due diversi modi di svolgere il proprio lavoro che li porterà però alla scoperta di un’indagine in comune.
Lorenzo Degl’Innocenti presta il volto ad un assistente di Bruschetta, Peppino Mazzotta, il Fazio di “Montalbano”, veste invece i panni del gestore del rifugio dove sostano i due protagonisti durante la tempesta, la guida svizzera è invece impersonata da Thierry Toscan, visto nel mini-capolavoro “Il vento fa il suo giro” (2007).
In cima al Monte Rosa, sotto nubi prepotenti, è stata ritrovata una mummia ma nessuno ha ancora stabilito se il luogo della scoperta sia terra italiana o svizzera.
Così le due squadre di esperti partono alla ricerca del soggetto ma il maltempo smarrisce nelle nebbie la spedizione svizzera e spinge quella italiana a ripararsi in un rifugio accogliente. Dopo aver dichiarato che il corpo è “italiano”, i due gruppi si uniscono a festeggiare insieme e, chiacchierando di amori del passato e affetti del presente, si accorgono di avere a che fare con un misterioso delitto.
La montagna, silenziosa e ruvida, accoglie una storia intrigante che comincia come una sorta di documentaristica cronaca di una spedizione scientifica per trasformarsi poi in un raffinato giallo investigativo. Sospesi in un attimo di vita che ferma il normale corso delle cose, i protagonisti sono gli agenti di un coinvolgente dibattito razionale che, per le intuizioni felici, ricorda quello diligente di alcune serie americane di successo, CSI su tutte. Però qui, isolati dalla vita frenetica della città, i rumori, i suoni e le parole acquistano un peso narrativo in più e non rischiano di perdersi nel nulla. Così i più piccoli dettagli, un cappello, una spilla, la pagina di un libro, oltre che documenti di un passato recente, sono anche oggetti portatori di un carico emotivo.
Il film di Andrea Papini ha il pregio di andare in una direzione poco frequentata e di portare avanti la sua idea con forza e garbo, assemblando le immagini aperte dei paesaggi di montagna con quelle più intime e chiuse dentro il rifugio. Un’alternanza di spazi che ritma i capitoli di un’indagine anomala, condotta da detective improvvisati, momentaneamente assorti in un viaggio all’indietro per scoprire chi ha ucciso il corpo ritrovato sul ghiacciaio.
Tra loro c’è chi ha un approccio metodico, mette insieme spunti e indizi, e chi invece affronta il caso con più superficialità, una leggerezza che li porta, ad un certo punto, ad essere anche complici di un delitto lontano. In questa divisione tra agguerriti investigatori assetati di verità e più freddi astanti prende forma una metafora della società contemporanea. Dove c’è chi vuole conoscere, e chi invece preferisce non sapere, mettendo in piedi paletti e paletti di confini insormontabili.
Il film si avvale della partecipazione straordinaria di un grande alpinista: Silvio Gnaro Mondinelli, naturalmente, nella parte di un alpinista e di Gianluca Buonanno, sindaco di Varallo Sesia, nel ruolo del sindaco italiano.