Mi è capitato di parlare di questo film con alcune persone che non lo avevano apprezzato… ho riguardato per l’occasione la versione estesa di 201 minuti e anche questa come quella cinematografica mi ha fatto esclamare “gran bel lavoro Peter”.
Trovo che sia un gran film e una grande dichiarazione d’amore al cinema fantastico da parte del regista neozelandese.
La trama dell’Ottava Meraviglia del Mondo è nota da quel lontano 1933, quando due avventurieri, Ernest Beaumont e Merian C. Cooper, crearono nei “laboratori” della RKO la più grande e spaventosa delle creature: King Kong. Il loro modello mentale diventò poi un modello in scala nelle mani di Willis O’Brien, il Méliès anglosassone, che per primo sperimentò tecniche rivoluzionarie come lo stop motion, realizzando mostri animati automaticamente, e la sovrimpressione, facendoli muovere dentro scenografie verosimili e accanto agli attori.
E a questa storia Peter Jackson è rimasto fedele ricostruendo per Kong un’inestricabile foresta mai esistita e una New York esistita soltanto negli anni della Depressione; restituendo alla Skull Island le spaventose creature, ragni e insetti giganti, “censurate” nella versione del ’33; e ancora rendendo a Kong, triplicato, il feroce avversario Godzilla.
Ma la visione di Jackson va oltre il remake aggiornato, oltre l’interpretazione psicologica, sociologica o politica (terrorismo, grattacieli, aerei che abbattono edifici), rivelando piuttosto un atto d’amore, altamente tecnologico, al cinema americano degli anni ’30. L’omaggio a quel cinema e alla sua icona gigantesca è diffuso nel film fin dalle prime battute che si aprono su New York, sui suoi operai sospesi a dodici piani di altezza come Harold Lloid, sui sipari di Broadway e sui loro divi, sui meccanismi di produzione di Hollywood, sulla fotografia, sui colori dei tramonti in Technicolor davanti ai quali si riconciliano Ann e Kong. Il regista neozelandese rinnova allo spettatore tutto il godimento di un cult-movie fondato sulla tradizione letteraria e sociologica del confronto tra bella e bestia, e a questo piacere aggiunge tutte le suggestioni dell’età d’oro del cinema hollywoodiano e così Jack Driscoll, avventuriero nella versione originale, diventa un drammaturgo di Broadway prestato a Hollywood; Carl Denham rimane regista anche in questa versione ma con l’intraprendenza e la magia di Orson Welles a cui aderisce anche fisionomicamente; Bruce Baxter, l’attore di film di serie B, celebra col suo atletismo impeccabile e il suo volto da bel filibustiere Bruce Cabot (l’attore che nella versione originale del ’33 interpretò Jack Driscoll) e i divi macho-azione di Hollywood. Anche Naomi Watts, dopo Fay Wray nel ’33 e Jessica Lange nel ’76, trova la sua Ann Darrow, sempre bionda e sempre innocente ma più consapevole e più innamorata di quella “creatura” che per lei combatte e muore. Su tutti i protagonisti maschili primeggia, e non solo in statura, Kong, uno scimmione che ha il volto umano e le emozioni umane di Andy Serkis, già Gollum ne Il Signore degli Anelli.