Un vero gioiello questo Detachment, film inglese del 2011 di cui non avevo mai sentito parlare. Un film di “frontiera” dove era idealizzato invece un’altro film sulla figura dell’insegnante come L’attimo fuggente.
Laddove la scuola è l’unico punto di riferimento nei microcosmi di adolescenti che affrontano il faticoso cammino della crescita e la missione degli insegnanti rischia di infrangersi al cospetto dei fallimenti quotidiani. Allora il senso di impotenza e frustrazione polverizza ogni traccia dei primi entusiasmi e idealismi, giungendo a infettare anche vite private in lenta e inesorabile dissoluzione. Così, il desiderio di fare la differenza diventa vana velleità e lascia il posto alla resa. Forse è per questo che il protagonista del film sceglie di continuare a fare il supplente, tentando, nel poco tempo di cui dispone, di impartire insegnamenti significativi agli studenti. Eppure, la passione che lo accende per la penna dei poeti sembra non riuscire a scalfire la sua vita.
Il distacco emotivo, in cui Henry ha deciso di trincerarsi e farsi scudo dal mondo, cela un’antica ferita che torna a galla nel contatto con una prostituta-bambina scappata di casa e un’allieva sensibile e dotata di talento artistico, ma castrata da un padre oppressivo e ferita dall’arroganza dei compagni. Mentre afferra queste isole alla deriva, Henry salva se stesso e la propria anima. Ma l’impatto tra pianeti arrabbiati e fragili genera deflagrazioni irreversibili, ben rappresentate dall’immagine dell’aula vuota e sfasciata. È intriso di profondo pessimismo e malinconica poesia questo film diretto dall’eclettico artista britannico Tony Kaye (regista tra l’altro del video What God Wants di Roger Waters). La consapevolezza lucida e amara di un destino ancorato al dolore è scandita dalle parole immortali di scrittori con cui il supplente spiega la vita ai ragazzi e incarnata nello sguardo triste e lontano di un Adrien Brody sempre superbo. L’intero cast è all’altezza di una sfida impegnativa: cogliere le falle del sistema di istruzione americano e le tragiche conseguenze che si riverberano sulle vite di insegnanti e alunni. Il regista le ritrae in maniera non convenzionale, percorrendo la strada di uno stile personale e riconoscibile, con un avvio da documentario – con inserti di interviste video a docenti che imprimono un effetto di realismo – e uno svolgimento via via più drammatico. Notevoli anche le soluzioni visive, con il contrasto tra il bianco e nero degli inserti iniziali e una fotografia dai toni caldi. Quando poi le immagini parlano all’unisono con la musica, la magia del cinema è compiuta e arriva dritta al cuore.
Trama:
Henry Barthes è un uomo solitario e introverso che insegna letteratura alle scuole superiori. Quando un nuovo incarico lo conduce in un degradato istituto pubblico della periferia americana, il supplente deve fare i conti con una realtà opprimente: giovani senza ambizioni e speranze per il futuro, genitori disinteressati e assenti, professori disillusi e demotivati. La diversità di Henry è evidente sin dal primo impatto con questo universo allo sbando. Il distacco e l’assenza di coinvolgimento emotivo gli consentono di conquistare il rispetto e la partecipazione di ragazzi difficili, che ben presto sconvolgeranno il mondo apparentemente controllato del docente.
Da La caduta della casa degli Usher di E. Allan Poe
Per tutta una fosca giornata, oscura e sorda,
nell’autunno di quell’anno,
col cielo greve e basso di nuvole,
avevo attraversatoda solo, a cavallo
una campagna singolarmente lugubre
fino a che mi trovai, mentregia’ cadeva l’ombra della sera,
in vista della malinconica casa degli Usher.
Non so come fu ma al primo sguardoch’io diedi all’edificio
una sensazione d’insopportabiletristezza mi prese l’anima.
Contemplai il paesaggio all’intorno,
e fredde mura,
i bianchi tronchidi alberi rinsecchiti.
Contemplai tutto conuna tale depressione d’animo!
Sentivo attornoa me una freddezza,
uno scoramento,
una nausea dello spirito.