Vorrei segnalare l’uscita nei cinema italiani, il 31 agosto, di un film che credo non avrà una grandissima distribuzione, purtoppo perchè si tratta di un ottima opera. Si tratta di Womb (letteralmente: grembo materno).
Rebecca (Eva Green) e Tommy (Matt Smith…l’ultimo The Doctor) si conoscono da preadolescenti e tra loro nasce un sentimento che verrà bruscamente interrotto dalla partenza di Rebecca. Quando, divenuti ormai un uomo e una donna, si incontrano di nuovo, l’amore ha modo di manifestarsi in tutta la sua intensità.
Per breve tempo però, perché Tommy muore investito da un’auto e Rebecca si sente in qualche modo corresponsabile dell’incidente. Essendo ormai possibile la clonazione di esseri umani decide di farsi impiantare nell’utero un Tommy che crescerà come un figlio amatissimo. Senza rivelargli nulla della sua origine ma anche con la prospettiva di ritrovarsi davanti, una volta cresciuto, la copia dell’uomo che continua ad amare.
Premiato al Festival di Locarno nel 2010 Womb è un film che sarebbe semplice accostare ad altre opere che hanno affrontato il tema della clonazione, prima fra tutte il bellissimo e dolente Non lasciarmi. Gli elementi ci sono tutti: un futuro che assomiglia al nostro presente, una società che discrimina le ‘copie’ che una fiorente attività ospedaliera aiuta a realizzare. Quello che però Benedek Fliegauf mette in luce è un elemento psicologico che non ha bisogno di attendere i cosiddetti ‘progressi’ della scienza per potersi manifestare con tutte le sue implicazioni devianti. La stessa scelta della location, le stupende spiagge selvagge del Mare del Nord battute dal vento, allontana il film da una prospettiva solo ed esclusivamente da science-fiction. Perché quella che ci viene raccontata di fatto è una mancata elaborazione della perdita della persona amata che finisce con il riversarsi morbosamente su un figlio. Quanti casi ha trattato la pratica psicoanalitica in cui una madre vuole rivedere nel figlio il consorte prematuramente scomparso?
La clonazione permette al regista di andare oltre, di non fermarsi dinanzi alla prospettiva dell’incesto originato da un aspetto che anche fisicamente è quello di chi non c’è più. Ma tutto il percorso precedente ci illustra, più con i silenzi che con le parole, il rapporto di protezione che si trasforma in gelosia nei confronti di un figlio a cui si attribuisce un duplice ruolo. Eva Green (che Fliegauf sembra avere avuto timore di invecchiare violandone la bellezza anche quando la storia lo richiedeva) porta sulle sue spalle il compito di sostenere un personaggio incapace di liberarsi da un senso di colpa profondo di cui seguiamo la complessa evoluzione descritta con grande sottigliezza psicologica che viene mantenuta fino all’ultima scena in cui una frase di Tommy rimette in gioco le certezze che credevamo acquisite.