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Midnight in Paris, penultimo film capolavoro di Woody Allen, incentrato sulla grande passione del regista americano, la Parigi anni ’20, la nascita del jazz, la pittura e la letteratura mi ha portato a leggere un libro che è una vera e propria testimonianza dell’epoca vista con gli occhi di uno dei grandi protagonisti: Ernest Hemingway. Festa mobile, l’ultima fatica di un Hemingway ormai in balìa dei demoni che lo porteranno da lì a breve al suicidio è un toccante ritorno alle origini.
Non v’è dubbio infatti che “Festa Mobile” sia, prima di tutto, un libro su Parigi. Quella degli Anni Venti, nella quale lo scrittore americano visse gli anni più importanti della sua vita, nei quali imparò quell’arte dello scrivere che poi lo consacrò in tutto il mondo e dove bastava camminare lungo i boulevard di Montparnasse e St. Germain per incontrare, seduti ai tavolini dei bistrò più alla moda, gli artisti che hanno segnato l’intero Novecento. Attraverso una serie di racconti in apparente senso cronologico, in “Festa Mobile” Hemingway ripercorre il suo cammino da aspirante scrittore ad affermato intellettuale mescolando a tratti il sarcasmo e la dissacrazione a pagine dense di una palpabile malinconia.
Prima i tempi duri dell’anonimato, quando i racconti non li acquistava nessuno e “la fame era un’ottima disciplina”. Poi la conoscenza di Gertrude Stein, la cui abitazione era il luogo di ritrovo di scrittori americani (e non), le sue “lezioni” di stile e la sua celebre definizione di “generazione perduta”; ma soprattutto le amicizie strette con Ezra Pound, Ford Madox Ford, Scott Fitzgerald e tanti altri intellettuali anglo-americani tra una lezione di boxe, una partita di tennis e un buon drink sulla terrazza della Closerie des Lilas, tuttora rintracciabile all’estremo orientale di Boulevard Montparnasse. Ma anche l’intensa attività letteraria, le corse dei cavalli, i rigidi inverni parigini, la “Shakespeare & Company” di Sylvia Beach, le speranze e le illusioni di un uomo che si apprestava a salire i primi gradini di una straordinaria carriera letteraria.
Perennemente sospeso tra l’ironia e la commozione, la disillusione e la nostalgia, “Festa Mobile” ha l’enorme pregio di raccontare in modo schietto, senza finzioni e soprattutto con una partecipazione personale straordinaria non solo la formazione personale di uno dei più grandi scrittori del Novecento, ma soprattutto uno spaccato di una Parigi in stato di grazia, protagonista di una vita artistica e culturale irripetibile. Ne era ben conscio, molti anni dopo, lo stesso Hemingway, che in una lettera del 1950 a un amico diceva: “Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile”. Dieci anni dopo, le dedicherà così le ultime righe della sua vita: “Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici”.