Tra i migliori film dell’anno, come sempre i film di Roman Polanski, questo film è una metafora anche della sua situazione attuale, CAPOLAVORO. Polanski ci ricorda come siano necessari uomini che siano capaci di andare al di là delle proprie convinzioni (il colonnello era un razzista che odiava gli ebrei) quando si trovano di fronte a un’ingiustizia che diviene tanto più palese quanto più chi la sta perpetrando fa muro perché non ne emergano le falsificazioni.
Gennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell’École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell’esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Al disonore segue l’esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il caso sembra archiviato. Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato.
Da uomo d’onore quale è si pone la giusta domanda: Dreyfus è davvero colpevole?