Sono rimasto conquistato da questo film, tratto dall’omonima capolavoro di Jonathan Safran Foer, e di cui ignoravo l’esistenza. Il film è anch’esso un capolavoro intriso di grande ironia e profonda tristezza, una di quelle opere capaci di farti ridere come un pazzo e poi farti scendere, nel finale, più di una lacrima. Naturalmente per apprezzare un film come questo bisogna avere gli strumenti necessari per capirlo.
Uno studente americano (omonimo dello scrittore Jonathan Safran Foer è deciso a trovare in Ucraina la donna che salvò suo nonno dalla furia nazista. Compiendo un viaggio nella memoria ricostruisce la vita del villaggio di Trachimbord, uno dei numerosissimi shtetl bruciati e dimenticati durante la Seconda Guerra Mondiale. Un luogo che ha smesso per sempre di essere geografico sopravvivendo soltanto nell’anima di coloro che ne hanno pazientemente raccolto e conservato, fino a collezionarle, le tracce. Il viaggio di Jonathan si avvia da una fotografia del nonno ritratto accanto ad Augustine, ad accompagnare la sua ricerca sarà un altro nipote, Alexander Perchov (grandioso personaggio), voce narrante del film, e un altro nonno che scopriremo “sopravvissuto” ed ebreo. Il nonno di Alex, per gli amici, è un brusco uomo di Odessa che ha cancellato la sua “ebraicità” fino a trasformarla in rabbioso antisemitismo. La sua cecità, marcata da scuri occhiali da sole e accompagnata da una cagnetta guida “psicopatica”, è finta, simulata quanto la vita che disperatamente ha cercato di sopravvivere lontano da Trachimbord.