Pittore, editore di libri d’arte, fotografo, autore di poesie, musicista, il mitico e poliedrico Viggo Mortensen ancora una volta riesce a sorprendere per il coraggio delle proprie scelte (La promessa dell’assassino, The road, Dangerous method, I due volti di gennaio e Loin des hommes) e per un’interpretazione memorabile, di fisico e sofferenza, multilingue e immersa in un passato che sembra ormai fuori dal tempo. E’ un capitano danese, Gunnar Dinesen, arrivato in Argentina dalla Danimarca per collaborare con l’esercito locale. Insieme a lui, la bella figlia quindicenne Ingeborg (Viilbjork Mallin Agger), unico esemplare femminile nel raggio di centinaia di chilometri, che una notte fugge con un giovane soldato. Gunnar decide di mettersi sulle sue tracce.
Ambientato intorno al 1880, Jauja trae ispirazione dalla cosidetta Conquista del deserto, operazione militare condotta dall’Argentina per strappare agli indigeni i territori della Patagonia. Lungo il suo cammino, il protagonista avrà modo di incontrarne.
Nelle mani di Alonso la sua ricerca diventa metafora di conquista, di scoperta, di perdita e di meraviglia (l’unico commento musicale è di notte, con il protagonista solo sdraiato su un masso ad osservare le stelle, musica scritta dallo stesso Mortensen). Quelle, immaginiamo, che farà la giovane Ingeborg una volta fuori il cancello della lussuosa, triste e solitaria magione in Danimarca.