E’ il primo film di Nuri Bilge Ceylan che vedevo, ero molto curioso perchè l’anno scorso era stato premiato con la palma d’oro a Cannes. Certo non si tratta di un film facile, la durata superiore alle tre ore e il ritmo potrebbero scoraggiate.
Il regista turco ha però realizzato un grande affresco della Turchia moderna nella quale la parola domina integrandosi con un paesaggio e con interni che riflettono e, al contempo, determinano gli stati d’animo. Il film opera una lettura delle relazioni uomo/donna che, portata sullo schermo grazie ad attori straordinari, ne fa emergere le pieghe e le piaghe più nascoste. Aydin è un possidente: possiede edifici, possiede la cultura, possiede sua moglie o, meglio, crede di possederla. Ha costruito intorno a lei una gabbia di attenzioni che è si è trasformata in una prigione che lo ha isolato a sua volta. A poco valgono le riflessioni sull’arte e sulla scrittura di quest’uomo apparentemente bonario (il lavoro sporco tocca al suo braccio destro).
A infrangersi non sarà solo il vetro del suo fuoristrada. Perché l’uomo Aydin si ritroverà davanti in Nihal non più la ragazza che aveva sposato ma una giovane donna che cerca la propria, seppur limitata, autonomia e ciò accadrà senza che lui abbia voluto accorgersi del cambiamento. Il sonno invernale di Ceylan non è un letargo pacificatore.