Lontano dagli uomini è un gran film, sobrio, malinconico, con un Viggo Mortesen maestoso. Tratto da un racconto di Albert Camus, L’ospite , mette perfettamente a fuoco non solo i caratteri, ma anche le culture che ne fanno parte.
Il protagonista chiama Daru, è un uomo solitario, vedovo, senza figli, che ama il suo lavoro, la sua libertà e la sua terra. È un «pied noir», Daru, francese di nazionalità, ma algerino di nascita: i suoi genitori arrivarono lì, da coloni, a fine Ottocento, e da allora la sua patria è questa, non quella oltremare dove non ha mai vissuto. L’unica volta che è tornato in Europa è stata una decina d’anni prima, la Seconda guerra mondiale, la Campagna d’Italia, ufficiale di quelle truppe coloniali che il suo Paese ha usato come carne da cannone non avendo più un esercito a disposizione dopo l’umiliante disfatta del giugno 1940. In cambio era stata loro promessa riconoscenza, e benefici, ma a conflitto finito tutto è stato dimenticato e ora l’Algeria ha deciso di lottare per la sua indipendenza.
È il 1954, la rivolta è già divampata e Daru si ritrova alle prese con un dilemma. Gli è stato affidato un pastore accusato di omicidio: ha ucciso un cugino che lo voleva derubare di quel cibo con cui faceva vivere la sua famiglia. Lo dovrebbe portare a Tilguit, consegnarlo alle autorità che lo processeranno. Ma lui è un insegnante, non un poliziotto, tanto meno un giudice. Mohamed, questo è il nome, è però ricercato dai parenti della vittima: il suo sangue per pareggiare il sangue già versato. Ma quell’uomo è sotto la sua protezione e Daru non può, e non vuole, lavarsene le mani, lasciare che glielo portino via come si fa con una bestia al macello.
Loins des hommes, Lontano dagli uomini, di David Oelhoffen, è un un western del deserto dove la natura è meno infida degli esseri umani. Senza quest’ultimi la salvezza è ancora possibile; quando arrivano loro non c’è scampo, ma solo sofferenza e odio.