I Calibro 35 li ho scoperta da poco, mea culpa, adesso è da tre giorni che non ascolto altro. Musica da film anni 70 che guarda a Morricone si potrebbe definire il genere, di cui sono maestri insieme con il grande Daniele Luppi (vedi Roma con Danger Mouse).
Io non sapevo ma i Calibro 35 hanno pubblicato cinque album in altrettanti anni, gli ultimi due addirittura pubblicati nel solo 2013, senza contare i concerti italiani in apertura ai Muse e quelli, sempre più frequenti, in programma in ogni parte del mondo.
Esaurito il filone “cinematografico”, i Calibro 35 inaugurano quello letterario, infatti il disco è ispirato all’omonima opera di Giorgio Scerbanenco. Sulle orme di Duca Lamberti, qui alla seconda avventura da protagonista di un giallo milanese dalle tinte noir, i Calibro 35 si insediano a pochi passi da quel naviglio che fa da proscenio alle vicende della malcapitata Giovanna, dell’amante Silvano e degli immancabili aguzzini che non tarderanno a fare la loro parte. La traduzione in musica consta di dodici canzoni che rinverdiscono l’intero campionario immaginifico di Gabrielli e soci, che ritornano alla formula strumentale (fatti salvi i coretti di Serena Altavilla, in The Butcher’s Bride, angelici in Miss Livia Ussaro) e si concedono il lusso di mettere mano a qualche nuovo strumento: l’organo Philicorda, il dulcitone e il mellotron.
Vendetta, Prologue e Annoying Repetitions delimitano un album forse più cupo nel mood, ma stilisticamente estroverso tanto quanto i predecessori. Giulia Mon Amour è una magnifica cavalcata beat, Stainless Steel vive sull’asse composto da granitici riff chitarristici e sax.
E ancora la psichedelica Mescaline 6, una “The Butcher’s Bride” accompagnata dal farfisa, la funkeggiante You Filthy Bastards impreziosiscono un lavoro sempre sul pezzo, costantemente sul filo della tensione narrativa. Per tutta la durata del primo ascolto ho immaginato Tomás Milián in tutto il suo splendore nel capolavoro di Lenzi La Banda Del Gobbo.