Viaggio alla mecca di Ludovico de Varthema, Skira
Il diario di viaggio del primo occidentale a visitare la Mecca nel 1500. Ben 450 anni prima di un altro celebre esploratore, Sir Richard Burton, per la voglia di conoscenza Ludovico compì un viaggio affascinante quanto periglioso.
Direi molto attuale, visti gli accadimenti degli ultimi anni sarebbe utile recuperare anche saggi come L’ ultima crociata. Quando gli ottomani arrivarono alle porte dell’Europa e La Croce e la Mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam entrambi di Arrigo Petacco e Le origini della rabbia musulmana. Millecinquecento anni di confronto tra Islam e Occidente di Bernard Lewis.
L’otto aprile 1503 il bolognese Ludovico de Varthema, travestito da mamelucco, si unisce a una carovana di pellegrini diretti alla Mecca: visita Medina e la Mecca, si addentra nella moschea e si avvicina al sepolcro di Maometto, luoghi preclusi agli infedeli, e rivela all’Occidente che il corpo di Maometto non è conservato in un sarcofago di ferro sospeso in aria grazie a enormi calamite come si credeva allora.
Fin dal tempo di Erodoto, la tradizione del racconto d’Oriente ha seguito una particolare teoria estetica, in base alla quale il verosimile non è ciò che, pur senza essersi verificato, avrebbe potuto accadere, ma ciò che più si allontana dall’esperienza comune. Siccome la cultura europea ha spesso dipinto l’Oriente come una terra di meraviglie, anche il viaggiatore più onesto, per non passare per bugiardo, si trovava a dover mentire ogni volta che non ne vedeva. È quello che accadde anche a Ludovico de Varthema, avventuriero, nato forse a Bologna, che verso la fine del 1502 lasciò l’Europa per l’Egitto e da lì, fingendosi maomettano, si spinse verso l’Arabia, diventando uno dei primi europei a vedere La Mecca.
Di questa straordinaria avventura Ludovico de Varthema dà una suggestiva narrazione nel suo Itinerario nello Egitto, nella Surria, nella Arabia deserta e felice, nella Persia, nella India e nella Etiopia, pubblicato a Roma nel 1510, che divenne un best seller e in breve fu tradotto in poco meno di cinquanta lingue.
Più avanti, smascherato e imprigionato ad Aden, supplicò clemenza prima al sultano locale, irremovibile, e poi alla sua regina, che lo fece liberare. Varthema ripartì allora verso più lontani orizzonti: l’Etiopia, la Persia, l’India, Giava e poi di nuovo l’India, dove trovò infine dei portoghesi che lo riportarono in Europa.
Avendo scoperto che le sue esperienze potevano farlo ricco, girò di corte in corte per raccontarle, e nel 1510 scrisse questo prezioso Itinerario, ripubblicato oggi da Skira, che per molto tempo è stato accreditato come fonte attendibile sui costumi dei popoli dell’Asia. Vi si scoprono storie di spassosa bizzarria: un bestiario di animali inesistenti, come i gatti maimoni di Aden; immaginose descrizioni di battaglie mai avvenute tra i mori e l’esercito del Prete Gianni; l’assicurazione che il mar Rosso non è davvero rosso, ma fatto d’acqua come i mari occidentali, e quindi navigabile. Invenzioni che lasciano appena intravedere i luoghi lontani che dovrebbero descrivere, ma che provano per l’ennesima volta come le esplorazioni geografiche della prima modernità siano state prima di tutto delle straordinarie avventure dell’immaginazione.