Non conoscevo la vita di Giacomo Leopardi così a fondo percui il film di Martone mi ha colto del tutto inaspettato, il film racconta un Leopardi vulnerabile e struggente, dalla salute cagionevole e l’animo fragile, ma dalla grande lucidità intellettuale e l’infinita ironia.
La sofferenza di Giacomo e i suoi tentativi di fuga dal padre e da una vita, quella di Recanati che egli mal sopportava sono stati una scoperta per me. Le possibilità di studio che gli erano state offerte avevano però trasformato la sua casa in una gabbia dorata, egli desiderava vedere il mondo e incontrare intellettuali suoi pari ma i genitori lo impedirono per molti anni.
Il protagonista Elio Germano “triangola” brillantemente con le sensibilità di Leopardi e di Martone, prestando voce e corpo, sul quale si calcifica l’avventura umana e intellettuale del poeta, alla creazione di un personaggio che abbandona la dimensione letteraria, e la valenza di icona della cultura nazionale, per abbracciare a tutto tondo quella umana.
La riscoperta dell’ironia leopardiana, intuibile nei suoi poemi, ben visibile nei suoi carteggi, è una potente chiave di rilettura moderna del poeta. “La mia patria è l’Italia, la sua lingua e letteratura”, dice il giovane Giacomo. E Martone ci ricorda che nella lingua e letteratura di Leopardi si ritrovano le radici dell’Italia di oggi.
Martone fa parlare i suoi protagonisti in un italiano oggi obsoleto ma filologicamente rigoroso, e fa recitare in toto a Leopardi le sue poesie più memorabili, strappandole alle pareti scolastiche e ai polverosi programmi liceali. Germano interpreta quei versi senza declamarli, reintegrandoli nel contesto umano e storico in cui stati concepiti, e restituendo loro l’emozione della scoperta, per il poeta nel momento in cui le ha scritte, e per noi nel momento in cui le (ri)ascoltiamo. Nelle sue parole torna, straziante, la malinconia “che ci lima e ci divora”, nei suoi dilemmi esistenziali ritroviamo i nostri. Veramente un gran bel film.
La sera del dì di Festa
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e questa sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
già tace ogni sentiero, e pei balconi
rara traluce la notturna lampa:
tu dormi, ché t’accolse agevol sonno
nelle tue chete stanze; e non ti morde
cura nessuna; e già non sai né pensi
quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
appare in vista, a salutar m’affaccio,
e l’antica natura onnipossente,
che mi fece all’affanno.