Nel ’39, Turing viene contattato dai vertici dell’esercito inglese che riunisce un gruppo eterogeneo (formato da matematici, campione di scacchi, esperti di enigmistica, linguisti) per riuscire a decrittare il famoso codice Enigma usato dai nazisti per eseguire le proprie operazioni belliche. Il compito è disperato: ogni mattina, a mezzogiorno, Enigma viene resettato, le possibili combinazioni ammontano a centinaia di milioni di miliardi.
Divenuto capo del gruppo e con non pochi attriti con il suo datore di lavoro, Turing seleziona tra i migliori candidati coloro che dovranno accompagnarlo nell’impresa titanica di costruire una macchina elaboratrice che preveda gli attacchi nemici. Chi fosse riuscito a risolvere un cruciverba da lui inventato in meno di dieci minuti si sarebbe dovuto presentare alle selezioni per l’incarico segreto; tra i candidati giunge a colloquio la venticinquenne Joan Clarke (la sempre graziosa Keira Knightley), ancora nubile e appassionata di logica e matematica che svolge l’esame con una rapidità che batte quella dello stesso Turing.
Per via delle convenzioni sociali dell’epoca Joan Clarke perchè donna fatica a farsi accettare da un mondo accademico rigidamente maschilista e nel quale al massimo può fare solo la segretaria, per la stessa ragione il “gioco imitativo” del titolo caratterizza la vita di Turing, obbligato a nascondere la propria diversità al mondo, e in particolare a quella società inglese che sforna geni e poi li confina ai margini del proprio rigido e ottuso conformismo.
Turing, un prodigioso talento per i numeri e una parallela inettitudine per la convivenza sociale (in pratica un Nerd), è il martire perfetto infatti immolerà il suo genio per la salvezza di tutti, costruendo un macchinario di nome Christopher (nome del suo migliore amico d’infanzia), e cadendo vittima della ristrettezza di vedute di chi non possedeva neanche un grammo della sua capacità visionaria. Una mente prodigiosa costretta a vivere “in codice”, e incapace di decifrare i comportamenti altrui, né di tradurre i propri in comunicazione umana.
Il regista è il norvegese Morten Tyldum, onesto artigiano che si accosta al materiale con totale rispetto dei codici di comunicazione inglesi per raccontarne le contraddizioni e i limiti deumanizzanti. In questo senso la sua operazione non è dissimile da quella realizzata da un altro regista scandinavo, Tomas Alfredson, con La talpa non è un caso che alcuni attori come Benedict Cumberbatch e Mark Strong ma soprattutto la scenografa Maria Djurkovic, abbiano partecipato a entrambi i film.
Un’altra gradita sorpresa è la presenza di Charles Dance direttamente da Game of Thrones, se possibile ancora più bastardo di Tywin Lannister.
Come anche ne La teoria del tutto, in The Imitation Game la confezione ipertradizionale e priva di guizzi autoriali non fa altro che rafforzare l’impatto della recitazione “totale” del protagonista: una bella competizione tra Cumberbatch nei panni di Turing (sembre ad altissimi livelli) e il bravissimo Eddie Redmayne in quelli di Stephen Hawking.
Piccola particolarità, il test di Turing è un criterio ancora valido per determinare se una macchina sia in grado di pensare. Tale criterio è stato precisato da Alan Turing nell’articolo Computing machinery and intelligence, apparso nel 1950 sulla rivista Mind.