Boyhood è uno strano, ottimo film (concorrerà per l’oscar) molto più di un period movie sugli ultimi 12 anni degli Stati Uniti ed è molto più di un romanzo di formazione. È addirittura molto più di un particolare esperimento cinematografico (realizzare un lungometraggio lungo più di una decade, riunendo ogni anno il cast per girare alcune scene e vederli così invecchiare realmente), è un grandissimo affresco sull’essere ragazzi americani oggi, partendo dalle radici, dalla formazione individuale, un racconto fondato quasi tutto sul concetto di famiglia, non tanto come nucleo ma come elemento centrale nella “boyhood”, l’età tra gli 8 e i 20 anni. C’è un paese intero, la politica, la musica, e il suo spirito per come è vivo oggi nella storia per nulla clamorosa di Mason.
Il regista Richard Linklater e il cast sono diventati una vera famiglia, addirittura la figlia del regista interpreta la sorella maggiore del protagonista il giovanissimo Ellar Coltrane.
Nonostante sia facile paragonare questo film all’altro progetto “seriale” del regista, paradossalmente Boyhood lavora su altre componenti rispetto a quelle con cui da 20 anni (e sempre insieme a Ethan Hawke) sta raccontando la storia di Jesse e Celine con Prima dell’alba (1994), Prima del tramonto (2004) e Before midnight (2013). In realtà Boyhood è una celebrazione del cambiamento, del mutamento nel tempo, senza trucco, mostrando il corpo che invecchia. Un’esperimento decisamente riuscito.
Trama:
Mason (8 anni) vive con sua madre Olivia e la sorella Samantha di poco più grande ma senza il padre Mason sr., da anni separato ma rimasto comunque vicino ai ragazzi. Nonostante la madre abbia la tendenza a trovare nuovi mariti non eccezionali e costringa i figli a traslocare spesso, cambiare scuola e amicizie, lo stesso i due mantengono un rapporto forte con il padre e con lei nonostante tutto, passando 12 anni della loro vita assieme fino al momento di passare al college e di lasciare la famiglia.