Premetto che non sono esattamente un fan della saga di Hunger Games di Suzanne Collins, anche se lo trovo un buon prodotto che rielabora delle tematiche già proposte in passato in un modo piuttosto originale (opere come 1984 e da altri libri distopici fuse con un famoso manga giapponese Battle Royal). Complice il fatto che all’interno di questa pellicola troviamo ottimi attori, io non la trovo per nulla disprezzabile: la bravissima e talentuosa Jennifer Lawrence, il compianto Philip Seymour Hoffman, quel fricchettone di Woody Harrelson, il veterano Donald Sutherland e il fantasmagorico Stanley Tucci insieme a tanti giovani attori.
Un’anno e un’edizione dopo gli hunger games tornano nell’arena per smascherare il vuoto che ci resta al di là del pieno della televisione. Al centro brilla la loro stella più luminosa, archetipo eroico, quello della guerriera, ridotto a meccanismo ludico. Ritrovati Jennifer Lawrence e Josh Hutcherson, Francis Lawrence succede a Gary Ross, ribadendo con lo spettacolo la dimensione morale. Meno risolto e coerente del primo, Hunger Games: La ragazza di fuoco è nondimeno un efficace episodio di passaggio che si fa carico delle premesse del primo.
Intrepida e rutilante, Jennifer Lawrence incarna ancora una volta il sacrificio e ancora una volta lo rimanda, permettendo a chi la osserva, al di qua e al di là dello schermo, di ragionare sullo spettacolo come linguaggio in grado di mettere in circolo il potere. Katniss, attrice condannata a essere solo un oggetto e strumento del “regime”, rivendica adesso il diritto a ritornare soggetto dentro una sequenza di grande bellezza, in cui sfonda il confine del mondo (artificioso) e rivolge il proprio sguardo sulla rappresentazione che contribuisce a realizzare. Hunger Games: La ragazza di fuoco è un film costruito sulla produzione di morte ‘vera’ che ci attrae nella sua barbarie, che ci inchioda lasciandoci senza fiato proprio come accade con il film di Francis Lawrence.
Aspettando Il canto della rivolta – parte 1 in uscita questo novembre,