La trascendenza del titolo rimanda alla “singolarità”, ovvero quella teoria secondo la quale l’evoluzione dell’intelligenza umana fomentata da aiuti artificiali ad un certo punto supererà la nostra comprensione di essa giungendo ad un livello superiore.
I presupposti c’erano tutti anche perchè questo film diretto da Wally Pfister direttore della fotografia è prodotto dallo stesso Nolan, che presta anche al film due suoi attori ricorrenti come Morgan Freeman e Cillian Murphy è prodotto dallo stesso Nolan che come sappiamo tutti insieme al fratello e a J.J. Abrams confeziona una delle più belle serie di sempre sull’Intelligenza Artificiale: Person of interest. Percui chi meglio poteva portare al cinema una così affascinante quanto estrema teoria. Purtoppo però il risultato è un opera piuttosto mediocre.
L’interrogativo che il film vuole aprire è se ci debbano essere limiti definiti alla tecnologia o no. E, soprattutto, se non ci fossero limiti, a che punto si arriverebbe? La risposta che Pfister dà è piuttosto cervellotica. Vorrebbe inquietare ma non lo fa perché tocca poco le corde emotive. Il futuro che ci presenta è freddo e poco attraente.
Al contrario di Her dove l’A.I. pareva poter aver un’anima qui ci muoviamo verso territori oscuri alla Terminator o alla Matrix dove la macchina ha come obiettivo l’assoggettamento della razza umana. Il dr. Will Caster di Johnny Depp si trasforma in un’entità maligna pronta a collegare attraverso la rete il mondo intero con l’intento di trasformare grazie alle nanotecnologie gli esseri umani in automi. Unico rimedio per fermarlo, il classico virus e disconnettere il mondo (che fa molto Disconnect) facendolo precipitare nella preistoria.