Tratto dal romanzo di Markus Zusak edito da Frassinelli arriva sugli schermi Storia di una ladra di libri, un punto di vista diverso sulla tragedia del secondo conflitto mondiale.
Una bambina sola e spaurita, una coppia di coniugi di mezz’età (due grandiosi Geoffrey Rush ed Emily Watson) che la accolgono con reazioni diametralmente opposte, un amore sconfinato per i libri dapprima “fisico” e inconsapevole, a causa dell’analfabetismo della ragazzina, poi invece sempre più voluto e interiorizzato quando con il passare del tempo la protagonista della vicenda, la giovanissima Lisel (Sophie Néville, una tredicenne all’epoca delle riprese, davvero talentuosa) impara a leggere e a far sue le pagine di ogni autore. Ambientato tra la fine degli anni Trenta e la caduta del Nazismo, il romanzo e il film hanno una visione di quegli anni bui poco usuale.
La guerra è vista dal punto di vista degli abitanti di un piccolo borgo tedesco con i bambini che cantano inni intrisi di odio razziale e le vie imbandierate per il compleanno del Fuhrer.
Dopo un iniziale entusiasmo per l’entrata in guerra da parte dei meno razionali facili a lasciarsi plagiare dalle teorie vaneggianti di Hitler, la maggior parte degli abitanti del villaggio vive con angoscia crescente i disagi della guerra dai bombardamenti che li costringe a passare spesso la notte nei rifugi antiaerei alla carenza di cibo e alla coscrizione obbligatoria di uomini ormai riservisti da anni o di giovanissimi. Lisel, filo rosso della storia, riesce a sopravvivere agli orrori grazie alla sua viscerale passione per la lettura, che aiuta a pensare, a spiegare i propri sentimenti e a rimanere liberi. Un ottimo connubio tra letteratura e storia.
Fu a nove anni che Liesel iniziò la sua brillante carriera di ladra. Certo, aveva fame e rubava mele, ma quello a cui teneva veramente erano i libri, e più che rubarli li salvava. Il primo fu quello caduto nella neve accanto alla tomba dove era stato appena seppellito il suo fratellino. Stavano andando a Molching, vicino a Monaco, dove li aspettavano i loro genitori adottivi. Il secondo, invece, lo sottrasse al fuoco di uno dei tanti roghi accesi dai nazisti.
A loro piaceva bruciare tutto: case, negozi, sinagoghe, persone… Piano piano, con il tempo ne raccolse una quindicina, e quando affidò la propria storia alla carta si domandò quando esattamente la parola scritta avesse incominciato a significare non solamente qualcosa, ma tutto. Accadde forse quando vide per la prima volta la libreria della moglie del sindaco, un’intera stanza ricolma di volumi? Quando arrivò nella sua via Max Vandenburg, ex pugile ma ancora lottatore, portandosi dietro il “Mein Kampf” e infinite sofferenze? Quando iniziò a leggere per gli altri nei rifugi antiaerei? Quando s’infilò in una colonna di ebrei in marcia verso Dachau?