All’ultimo non ho partecipato, ma sono felice di ospitare il riepilogo della serata redatta da Faramir che a questo punto mi auguro possa diventare il relatore ufficiale dei #veNERDìpub. Da perte mia come credo anche Luca saremo felici di dargli spazio sui nostri blog. Alla prossima ragazzi.
The final cut by Faramir
La cornice è quella ‘classica’ del pub Hartigan’s, teatro dei primi ritrovi del Verona Lost Group, prima incarnazione del #veNERDì – ormai sette anni fa: un eone che fa impallidire i proverbialmente pazienti Grandi Antichi di HPL. La composizione del gruppo è il ‘sestetto base’ Faramir, Luca G, il Mojo, Jacopo, Francesca e il neoinserito nella Twitter Nation Valerio. La conversazione fluisce con l’agio del buon sidro seguendo percorsi tortuosi e affascinanti, come è consuetudine di questi ritrovi, spiraleggiando (come il Segno Giallo?) dal passato al futuro e dagli auspici ai ricordi.
I ricordi sono quelli, freschissimi, della prima stagione di True Detective, a mani basse la miglior serie tv del 2014, anche se l’anno è lungi dall’essere finito. Una serie straordinariamente bella, per scrittura, cura del dettaglio, recitazione, regia e profondamente ‘sfidante’ dal punto di vista etico. Groundbreaking, direbbero gli anglofoni – talmente di rottura da ricordare la madre di tutte le serie di culto (e quella che per molti di noi è stata la prima ossessione televisiva), quel Twin Peaks che è accomunato a True Detective da una storia archetipica, la più antica – a dire di un ottimo articolo – perché è quella che narra la sfida tra Luce e Ombra. L’auspicio, verbalizzato da chi scrive – ma senz’altro una pia illusione – è quello che la seconda stagione di True Detective (che avrà storia e attori diversi, anch’essa autoconclusiva) possa dare una chiusura alle vicende di Twin Peaks, lasciate senzarisoluzione (almeno quella meta- o parafisica) da David Lynch e Mark Frost ormai 25 anni fa… il tempo giusto per collimare con la profezia di Laura Palmer nella Loggia Nera durante il celeberrimo sogno di Cooper.
Un omaggio, non un sequel o una conclusione, fu Dual Spires (ancora una spirale), puntata 5×12 di Psych, telefilm senza pretese, tra investigazionee comedy, che operò una gustosissima rimpatriata di molti degli attori della serie lynchiana per un episodio di sicuro richiamo per tutti i peakers mai disintossicati. Lo stesso Psych, più di recente, ha omaggiato un altro classico da inguaribili nerd come Signori, il delitto è servito (Clue, 1985), commedia con omicidi basata sul gioco da tavolo Cluedo. La rimpatriata, nella puntata 7×05 (Psych 100), ha coinvolto meno volti noti del film originale, ma riconoscibilissimi, come quello di Christopher Lloyd (che non ha bisogno di presentazioni) o quello di Leslie Ann Warren, che nel film interpretava la Signorina Scarlet, un ruolo – apprendiamo da un’accurata ricostruzione – che avrebbe potuto interpretare Carrie Fisher, non fosse stata all’epoca persa in una spirale di cocaina, che si narra le concedesse pochi momenti di lucidità anche durante le riprese di Star Wars.
Ma True Detective non evoca solo film e telefilm, bensì anche libri – e non libri qualsiasi. Con citazione fin dalla seconda puntata, cosa che ha mandato in sollucchero coloro che, come chi scrive, cercano indizi di misteri misteriosi e possibilmente soprannaturali, True Detective ha esplicitato il nesso con uno dei più classici pesudobiblia della letteratura fantastica, Il Re in Giallo, opera teatrale che porta alla follia chi lo legga fino in fondo e che fa da filo conduttore, oltre a prestare il titolo, ad una raccolta di racconti di fine ottocento di R. W. Chambers. Oggi edito dalla piccola casa editrice lovecraftiana Hypnos, nicchia di orrore soprannaturale nel panorama editoriale italiano, ma ‘toccato con mano’ al pub in una preziosa prima edizione Fanucci, Il Re in Giallo viene ritenuto da Lovecraft in persona uno dei suoi più significativi precursori, citandolo come riferimento nel saggio L’orrore soprannaturale in letteratura. Questo saggio, vera e propria bussola per gli appassionati, annovera anche La casa sull’abisso di William Hope Hodgson, autore noto per le sue narrazioni marinare (il suo Naufragio nell’ignoto è stato di recente ristampato in Italia da Addictions-Magenes). Perché citarlo? Perché rischiare di perdersi nel maelstrom (gorgo spiraleggiante raccontato anche da Poe… e che diede il nome al Miles Straume di Lost)? Perché di mare scrive anche Horatio Clare, autore inglese che ha incrociato la nostra strada sul campo di football australiano dei Verona Wolverines, e che con il suo ultimo Down to the sea in ships sta riscuotendo un meritato successo.
Che epigoni ha avuto il Re in Giallo, o comunque il filone latamente lovecraftiano? Sicuramente il rappresentante contemporaneo più maturo della letteratura weird è Thomas Ligotti, poco concosciuto in Italia, tanto che solo il suo I canti di un sognatore morto è stato pubblicato qui da noi, da quella Elara che ha un sito che sembra uscito dritto dritto dal 1997, ma a cui dobbiamo una meritoria opera di diffusione della letteratura fantastica meno á la page, anche grazie all’edizione italiana della rivista Fantasy & Science Fiction.
Al successo di True Detective ha contribuito in maniera decisiva la recitazione di Matthew McCounaghey, capace di trasformarsi in maniera sorprendente, come nel Dallas Buyers Club che gli è valso l’Oscar o nella breve apparizione in TheWolf of Wall Street dove ruba la scena all’eterno secondo (limitatamente agli Oscar, beninteso) Leonardo Di Caprio. Si discute molto su questa seconda giovinezza artistica di McC, quasi un Secondo Avvento di un attore che forse semplicemente non aveva trovato copioni adeguati alla sua statura.
Gli autori fanno tanto, e di Nic Pizzolatto – sceneggiatore di True Detective – il romanzo Galveston si è guadagnato rapidamente la cima della pila di lettura di molti di noi. A Damon Lindelof molti invece ancora non perdonano il finale di Lost – del quale però ha recentemente parlato in pubblico, dopo un lungo radio silence – alla rimpatriata con una buona fetta del cast al panel inserito nel programma della PaleyFest.
Damon Lindelof non è coinvolto nella produzione dell’Episodio VII di Star Wars, che apprendiamo fosse stato già scritto da George Lucas (come parte di un’ennealogia) fin dai tempi della trilogia originale, ma ‘tenuto nel cassetto’ perché tecnicamente irrealizzabile. Oggi il giocattolo è in mano a J.J. Abrams ma – come per quello cui mette mano Lindelof – lo scetticismo prevale sull’ottimismo. Del resto, non solo da trekkies integralisti sono piovute critiche su Star Trek Into Darkness, con Benedict Cumberbatch nei panni di Khan. Lo Sherlock della BBC è stato di recente in 12 anni schiavo e le sue capacità attoriali sono comunque fuori discussione, tanto che la sua voce dà allo Smaug di The Hobbit una profondità – a dire dei critici di quest’altra, stiracchiatissima trilogia – immeritata. Qui Cumberbatch incontra, nei panni di Bilbo Baggins, il ‘suo’ Watson, Martin Freeman, che ècoinvolto nella realizzazione di una imminente serie televisiva tratta da Fargo dei fratelli Coen. A proposito di stiracchiamenti.
Seconde o successive stagioni che stiamo aspettando più o meno con ansia ce ne sono varie, da Broadchurch a The Fall, da Bates Motel a Game of Thrones. A proposito di quest’ultima saga, è ormai un termine di paragone ineludibile quando si parla di (fanta)storia e di abbondanza di grazie maschili e femminili. Vikings non fa eccezione, ma evoca anche il lisergico Valhalla Rising, di Nicolas Winding Refn, con un taciturno Mads Mikkelsen. L’attore danese è l’ultima incarnazione di Hannibal Lecter, nel prequel tv Hannibal alla trilogia tratta da Thomas Harris, alla quale non viene comunemente ascritto quel capolavoro del 1986 che è Manhunter: frammenti di un omicidio, film genuinamente agghiacciante di Michael Mann, in cui lo psichiatra cannibale era interpretato da Brian Cox. Cox presta, coincidenza significativa (significativa perché ne abbiamo parlato senza saperlo), la voce al sistema operativo Alan Watts in Lei, film ancora nelle sale che chi ha visto reputa straordinario.
Questa caccia alle citazioni, alle coincidenze significative, agli indizi nascosti in piena luce, fa il paio con quel gioco – di cui in pochi sapevamo – che risponde al nome di Geocaching e che è un misto tra caccia al tesoro e bookcrossing, tra analogico e digitale, e che potrebbe riservare sorprese – prevalentemente paesaggistiche – per chi lo praticasse.
La spirale si riavvolge su percorsi noti, come i libri di Stephen King – l’ultimo dei quali, Doctor Sleep, sequel di Shining, è in corso di lettura sonnacchiosa da parte di qualcuno di noi – o i documentari che ne analizzano da prospettive ‘laterali’ gli adattamenti – come il delirante Room 237 – o i libri che lo stesso Re (non in giallo) consiglia – come Dominion di C.J. Sansom, variazione sul tema ucronico della vittoria nazista nella Seconda Guerra Mondiale – o quello che i suoi figli scrivono, come Joe Hill e il suo recente NOS4A2, per non parlare del fumetto che sceneggia, Locke & Key, la cui prima miniserie si intitola (guarda caso – nulla avviene a caso, direbbe Locke) Benvenuti a Lovecraft, o altre rotte apparentemente circolari, come quella dello Snowpiercer, treno-arca tra i ghiacci rappresentato dal film coreano ispirato al fumetto francese Transperceneige.
E potremmo andare avanti a lungo, ma Si alza il vento ed è tempo di prendere il volo, con la fantasia del protagonista del nuovo film di Miyazaki… ma auspicabilmente non con le prospettive dei piloti dei suoi aerei.
Non li abbiamo citati, ma tra nascondigli nel terreno e spirali aeree, c’è un verso di una canzone dei Pink Floyd, dalla quale – e dall’album omonimo – mutuiamo il titolo di questo post, che ben sintetizza il percorso che abbiamo condiviso, e che merita di essere posto a chiusa del modesto contributo da ospite che chi scrive, grato, ha dato a questo blog.
And far from flying high in clear blue skies I’m spiralling down to the hole in the ground where I hide.