Ieri con Giovanna sono stato a Salò, alla conferenza a cura dell’associazione Esperia, Vi presento Tolkien.
Conoscevo già le opere di Padre Guglielmo Spirito, lui ha aperto la conferenza con l’interessante Gandalf ombra di Lluvatar.
Padre Spirito è collaboratore pressoché fisso della rivista Minas Tirith dal ’97 al 2007, per l’editore Il Cerchio di Rimini ha scritto Tra San Francesco e Tolkien (2003) e ha curato Lo Specchio di Galadriel (2006), in cui è compresa anche la ricostruzione del viaggio che Tolkien fece ad Assisi nel ’55 e il rapporto con l’imminente pubblicazione di Il Ritorno del Re. Figura un suo saggio anche in Tolkien. La Luce e l’Ombra (Senzapatria, 2011), raccolta italiana con diversi contributi anche di alcuni dei più grandi studiosi di Tolkien all’estero.
Ma per noi la vera rivelazione (per la sua vivace intelligenza e oratoria, complimenti) è stato l’intervento di Edoardo Rialti autore Fiorentino, sull’eroismo della dedizione e dell’amore: il canto di Tolkien.
Rialti è traduttore e saggista di C.S. Lewis e G.K. Chesterton, oltre che docente un po’ ovunque, si dedica specialmente alla Letteratura Inglese del primo ’900 che spesso viene ignorata dalla critica maggioritaria. E’ autore di Un’infinita sorpresa. La vita e le opere di C. S. Lewis e L’uomo che ride. L’avventura umana e letteraria di G. K. Chesterton (Cantagalli). Potete trovare i suoi articoli di critica letteraria sul foglio mentre il suo sito è www.edocentrico.it e il suo account twitter è @Rialticentrico.
Da brividi la sua lettura del brano de Lo hobbit:
E d’improvviso i nani iniziano a cantare. Un «canto roco di nani», scrive Tolkien, che sembra riemergere dalle profondità della terra dove quel popolo dimora: «Lontano su monti nebbiosi e gelati / in antri fondi, oscuri e desolati / prima che sorga il sol dobbiamo andare / i pallidi a cercar ori incantati…». Un canto che evoca terre lontane, draghi ed elfi, fuochi e spade. Evoca le montagne, ignote al pacifico popolo della Contea. Così il celebre scrittore inglese descrive quell’istante: «Mentre cantavano, lo hobbit sentì vibrare in sé l’amore per le belle cose fatte con le proprie mani, con abilità e magia, un amore fiero e geloso (…) e desiderò di andare a vedere le grandi montagne, udire i pini e le cascate, esplorare le grotte e impugnare la spada al posto del bastone da passeggio». Cosa accade? Che il cuore di Bilbo viene toccato da una nostalgia profonda, capace di trapassare la scorza di abitudini e comodità della vita hobbit. Viene invaso dal sentore di qualcosa di sconosciuto e attraente nello stesso tempo. L’inizio per Bilbo è tutto lì, nella discrezione e nell’intimità di quell’istante, in quel canto che tocca le corde più nascoste del suo animo. E gli fa presagire quanto sia grande, tremenda e affascinante la vita là fuori che lo chiama.