Dopo una settimana infernale che ha letteralmente stravolto la mia vita, riecco qui a scrivere questo mio blog, lo faccio segnalando un film che fa pensare anche chi crede di non avere un’anima.
Su invito dell’insegnante del figlio, Antoine, avvocato parigino, quarantenne e non credente, partecipa ad un incontro di catechesi al solo fine di non risultare scortese. Dopo l’iniziale scetticismo, però, scatta in lui, apparentemente realizzato nonostante i problemi relazionali con il figlio adolescente così come con l’anziano padre, un profondo cambiamento che lo porterà a seguire l’intero percorso di educazione religiosa, all’oscuro di una moglie medico di cui teme il giudizio o meglio la derisione. Nelle parole di Thierry Bizot, autore del romanzo autobiografico “Catholique Anonyme” da cui la regista Anne Giafferi ha tratto la sceneggiatura, la pellicola racconta la vicenda di un “coming out spirituale”, fin dall’inizio calata in un contesto alto borghese dove il raggiungimento degli obiettivi professionali va di pari passo con la fede in se stessi. Per questo motivo, l’avvicinamento e poi l’innamoramento per Gesù sono vissuti inizialmente da Antoine come un tradimento nei confronti dell’idea che ha sempre avuto di sé, anche a causa di un ambiente sociale troppo incline ad un’intollerante ironia verso il trascendente. È proprio in questa difficile evoluzione che si sente la sensibilità della regista, nel seguire cioè una metamorfosi capace di investire anche i corpi in scelte attoriali spesso azzeccate: si pensi alla mole dell’anziano padre vicino al quale Antoine quasi sparisce, ai movimenti nervosi del fratello fallito, al volto comprensivo e ugualmente severo della moglie. Film di famiglia per più ragioni, l’autore del romanzo e la regista sono marito e moglie nella realtà, è tutto focalizzato sul contrasto tra membri di uno stesso nucleo, sull’incompatibilità e la ricerca di un’unità: nel rapporto conflittuale con il figlio, adolescente sensibile e introverso, Antoine proietta l’ombra di quello avuto da sempre con il proprio genitore, in una riproposizione della Parabola del figlio prodigo che sembra quasi la struttura latente di tutta la sceneggiatura.
Realizzato con garbo e ammirevole pudore, L’amore inatteso è un lavoro gradevole, ma purtroppo di breve scavo, gli avrebbe giovato un tessuto maggiormente svariato e un disegno globale meno prevedibile. Agli autori si può forse muovere l’appunto di aver voluto consegnare un ritratto eccessivamente esemplare, quasi volesse essere, sotto l’aspetto anche leggero, una moderna parabola sull’intolleranza nei confronti di ogni credente. Distribuito nelle sale italiane con tre anni di ritardo.