Questa ultima opera di Tornatore ha un qualcosa di ipnotico, affascinante e teso come un thriller, è un dolentissimo film con un grande, grandissimo attore, Geoffrey Rush, che dopo Il discorso del re ci regala un’altra incredibile interpretazione.
Un illustre antiquario, lupo solitario per eccellenza, abituato a prendere distanze dalla vita con i guanti, si innamora per caso follemente di un’illustre sconosciuta agorafobica con cui parla attraverso una porta sbarrata. Tutt’altro che un film romantico: è un complesso affresco sulla ferocia della solitudine, sull’instabile crinale della fiducia, sul barlume di autentico che traspira da ogni falso (d’arte e d’animo).
Meravigliose le scene girate all’interno della stanza segreta nella quale il protagonista nasconde le “sue donne dipinte”, che con quelle della realizzazione dell’automa antico già da sole valgono il film.
L’essenziale, sembra volerci dire Tornatore, è saperne valutare la giusta collocazione rinviandone, come fa Claire con il proprio aspetto, la rivelazione complessiva. In fondo fare cinema è simile al relazionarsi a una donna. Come afferma l’assistente di Virgil: “Vivere con una donna è come partecipare ad un’asta. Non sai mai se la tua è l’offerta migliore”.