Tra i tanti artisti islandesi che ascolto nell’ultimo peroido, insieme a Sigùr Ros, Mùm, Björk aggiungo il grande talento di Ólafur Arnalds con ..and They Have Escaped The Weight Of Darkness (ma ascoltate tutta la sua produzione, ne vale la pena).
el volgere di pochi anni, l’appena ventitreenne Ólafur Arnalds è passato da un’esperienza come batterista in una misconosciuta band metal e dall’autoproduzione del suo primo “Eulogy For Evolution” a stella nascente della musica islandese più suggestiva, circondato da innumerevoli attenzioni e ormai definitivamente pronto per il grande salto tra i migliori interpreti di quelle raffinate propaggini dell’indie-rock, protese verso retaggi classici e ispirazioni cinematiche.
In parallelo, è proprio l’universo sonoro di Arnalds ad essersi ampliato, per attestarsi su un nuovo equilibrio, costituito non solo da minimalismo pianistico, ma anche da orchestrazioni più ricche, incursioni ritmiche e cammei di chitarre ed elettronica, che vi conferiscono una significativa grandiosità, spostandone altresì il mood da quello di una contemplazione nostalgica a un luminoso messaggio di speranza.
I poco oltre quaranta minuti di “…And They Have Escaped The Weight Of Darkness” traggono sempre abbrivio da note di pianoforte intense e cadenzate, la cui semplicità non è certo sinonimo di banalità quanto piuttosto funge da tessuto armonico sulle cui fragili suggestioni si innestano gradualmente prima aperture ritmiche e orchestrali (“Tunglið”), poi derive chitarristiche che tratteggiano scenari ultraterreni di floydiana memoria (“Gleypa Okkur”) e infine filmici crescendo sigurrosiani nei quali l’essenzialità pianistica si trasfigura in grandiosità da band (“Hægt, Kemur Ljósið”).
Quasi tutte le composizioni raccolte nel disco seguono un itinerario di progressiva stratificazione e aggiunta di elementi, dischiudendo ricchi bozzoli emozionali, dai quali stillano dolci lacrime sotto forma di rincorrersi d’archi o di crescendo che tradiscono lontane fascinazioni post-rock, senza tuttavia mai ricadere in canovacci ormai decisamente abusati.
Sono infatti ancora l’ariosa essenzialità del pianoforte e il suo cristallino dialogo con il violino a costituire lo scheletro portante di brani il cui flusso avvolge in un abbraccio capace di condurre in una dimensione di mera percezione, che induce a lasciare piacevolmente in secondo piano qualsiasi considerazione formale o tecnicista. E se anche a livello di efficacia evocativa il giovane Ólafur Arnalds non può ancora paragonarsi al più maturo connazionale Jóhann Jóhannsson (al quale è ormai ripetutamente accostato), “…And They Have Escaped The Weight Of Darkness” non fa altro che confermare il suo talento, regalando scorci paradigmatici di una declinazione post-classica, dal cuore così vicino alle sensibilità latamente “rock” da lasciar presagire un’imminente e meritata progressione su vasta scala della popolarità dell’artista islandese.