E’ tempo di trasposizioni, è tempo di saghe letterarie trasportate sul grande schermo (tra poco anche la trilogia del Gioco di Ender di Orson Scott Card) e dopo Il signore deegli anelli, Harry Potter e l’infame Twilight adesso è il momento di Hunger Games.
Certo, l’idea che è contenuta in Hunger Games non è delle più originali, andate a recuperare The running men, film con Arnold Schwarzenegger liberamente ispirato all‘ Uomo in fuga di Stephen King, uno show televisivo in stile gladiatorio in cui dei “corridori” tentano di sopravvivere mentre vengono cacciati dagli “inseguitori”… Questa è solo l’ultima delle ispirazioni da cui Suzanne Collins, l’autrice della trilogia, ha attinto, da 1984 di Orwell e da altre distopie letterarie come Il nuovo mondo di Aldaus Huxley oppure Noi di Evgenij Zamjatin oppure a Figli degli uomini di Alfonso Cuarón. Ma deve molto anche a Battle Royale di Koushun Takami (film di Kinji Fukasaku) che eccede in una violenza ecessiva. The Hunger Games però rispetto a questi cambia visuale. 1984 non prevede spiragli di sopravvivenza al Regime come Battle Royale non lascia spazio all’immaginazione, la violenza è esplicita, e non c’è speranza: nel caso in cui sopravvivano più ragazzi, il governo li fa saltare in aria.
Dopo la visione del film una cosa salta subito all’occhio, Hunger games è lontano anni luce dalla saga di Twilight, non si tratta del solito prodotto giovanilistico senza molte idee. Questo è cinema per giovani capace di scavare in profondità e proporre uno spettacolo non superficiale. Hunger Games riesce dove negli ultimi anni questo tipo di intrattenimento aveva pesantemente fallito.
In questo suo ritorno al cinema dopo nove anni di assenza fin dalle primissime inquadrature il regista Ross sembra voler prendere esplicitamente le distanze dalla messa in scena patinata e monotona che ci si poteva aspettare visto il target di destinazione del film. Invece Hunger Games parte come un film nervoso, pieno di inquadrature “sporche”, di macchina a mano assemblata con un montaggio estremamente serrato. Questa scelta estetica ben precisa all’inizio si rivela addirittura eccessivamente ostentata, in quanto non permette bene di mettere a fuoco ambienti, situazioni ed anche i personaggi, fattore che per un film di fantascienza è piuttosto importante.
A prescindere dalle sbavature e dalle imperfezioni del prodotto finale, questo è già un enorme merito grazie anche alla maiuscola interpretazione di Jennifer Lawrence (Un gelido inverno) un attrice esplicitare con maggiore efficacia le sue notevoli doti d’attrice. Ci troviamo veramente di fronte a un’interprete che a soli ventun’anni riesce perfettamente a riempire un personaggio e a svelarne i lati nascosti. C’è anche da sottolineare però che la sua Katniss Everdeeen è un ruolo molto interessante nella sua fragilità celata e nel suo bisogno quasi primitivo di aggrapparsi e di proteggere chi le sta intorno. Risulta poi interessante che l’arco narrativo di Katniss non sia delineato in modo classico ma rimanga piuttosto indefinito, o meglio fascinosamente “aperto” per una presa di coscienza che verosimilmente avverrà nei prossimi episodi dell’annunciato franchise.
Già, perché Hunger Games semina anche in alcune scene dei momenti che non è illecito supporre “politici”, e che riempiono ancor di più una sceneggiatura già densa. Altra sottolineatura la merita il valevole gruppo di caratteristi che compone il cast di supporto del film: su tutti un Donald Sutherland mellifluo e ipnotico come soltanto lui sa essere. Per quanto riguarda invece il lato più specificamente tecnico del film, la fotografia di Tom Stern e le musiche sempre poetiche di James Newton Howard sono le cose più riuscite.