La stella di Ratner, di Don DeLillo, Einaudi.
Questo è un libro culto di un’autore anch’esso di culto negli USA addirittura dal 1976!!
C’è un vita all’interno di questa vita. Un riempirsi di interstizi. C’è qualcosa tra gli spazi. Sono diverso da questo. Non sono solo questo, ma di più. C’è qualcos’altro che appartiene al resto di me. Non so come chiamarlo o come raggiungerlo. Ma c’è. Sono di più di quello che sapete. Ma lo spazio è troppo strano da attraversare. Non posso arrivarci ma so che è lì che bisogna arrivare. Dall’altra parte è tutto libero. Se solo potessi ricordare com’era la luce nello spazio prima che avessi occhi per vederla. Quando avevo una poltiglia al posto degli occhi. Quando ero tessuto umido. C’è qualcosa nello spazio tra ciò che conosco e ciò che sono e quello che riempie questo spazio è qualcosa per cui io so che non ci sono parole.
Billy Twillig è un premio Nobel, il più geniale matematico della sua epoca, il massimo esperto in un campo di studi cosi specializzato ed estremo da coincidere, praticamente, con la sua sola persona. E ha quattordici anni. È stato prelevato da forze non meglio precisate e condotto in una località segreta dell’Asia centrale per partecipare all’Esperimento sul campo numero uno: un enorme centro di ricerca in cui studiosi di tutto il mondo cercano di raggiungere “la conoscenza. Studiare il pianeta. Osservare il sistema solare. Ascoltare l’universo. Conoscere noi stessi”. Billy è stato convocato perché rappresenta l’unica speranza per decifrare il mistero supremo: tempo fa, proveniente dalla lontana stella di Ratner, è giunto un segnale radio che ha tutta l’apparenza di un messaggio da un’intelligenza aliena. Ma nemmeno la più alta concentrazione di scienziati del pianeta è riuscito a decodificarlo. Finora.
“La stella dì Ratner” è, fin dal suo apparire nel 1976, tra tutti i romanzi di Don DeLillo l’oggetto del culto più tenace, enigmatico e sotterraneo. Qualche anno più tardi, tentando di spiegarne il segreto, lo stesso DeLillo dirà: “Ho provato a scrivere un romanzo che non solo avesse la matematica tra i suoi argomenti, ma che, in un certo senso, fosse esso stesso matematica. Doveva incarnare un modello, un ordine, un’armonia: che in fondo è uno dei tradizionali obiettivi della matematica pura”.