The Tree of life di Terrence Malick ha vinto il premio di miglior film a Cannes ed è stato paragonato al 2001 Odisseo nello spazio di Kubrick. L’opera è una continua preghiera a Dio, con un grande impatto visivo sulla nascita del mondo, il big bang, le origini della vita e una fine apocalittica in una sorta di limbo post mortem ambientato sul bagnasciuga di una grande spiaggia. Lì, le madri incontrano i propri figli, e viceversa, e tutti i morti sembrano ritrovarsi in pace.
Malick riesce a non lasciare tutto questo sulle pagine della Genesi o in un libro di filosofia.
Per creare le primordiali immagini del Big Bang, il regista americano ha consultato astronomi, fisici e biologi e, per la prima volta nella sua carriera, ha utilizzato effetti visivi, rielaborando il caos con la sua sensibilità estetica. Vulcani che eruttano lava, foreste pluviali, immense distese d’acqua e persino i dinosauri che circolano dalle parti di quello stesso fiume che poi farà da sfondo a tante scene della microstoria della famiglia O’Brien negli anni ’50.
Brad Pitt interpreta un padre vecchia maniera, come l’epoca in cui è ambientato, il suo amore per i figli è poco manifesto rispetto alla volontà di dare un’educazione rigida, una formazione alla vita che è combattimento. Centrale nel film è la morte di uno dei tre figli. Tutto è raccontato attraverso gli occhi di Jack, figlio non troppo amato da Pitt, da adulto interpretato poi da un silenzioso Sean Penn.
Quinto lungometraggio del regista-filosofo (Malick, tra l’altro, ha tradotto in America Martin Heidegger*), «The tree of life» vola subito alto: si parte con la citazione di un passo di Giobbe (il 38.47) e tutto è accompagnato da musiche classiche di Brahms a Bach. Malick, tre volte sposato e che è stato, tra le altre attività, operaio ai pozzi di petrolio, professore di filosofia al MIT, giornalista, ornitologo, non ha avuto una vita familiare facile: un padre severo da cui non si è sentito mai amato e un fratello che amava suonare la chitarra che si è suicidato.
* Il pensiero di Heidegger (da leggere assolutamente Essere e tempo, Mondadori), pur nella sua complessità, è incentrato sulla ripresa dell’ontologia e sulla sottolineatura della radicale trascendenza dell’essere (inteso più come concetto-limite che come realtà) rispetto all’ente. In questo senso Heidegger ritiene che l’intera metafisica tradizionale debba essere criticata e superata grazie alla riscoperta dell’essere come irriducibile differenza che si cela, negandosi, in ogni singolo oggetto o persona, pur rivelandosi nella temporalità della storia.