Z La città perduta

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Z la città perduta, di David Grann, Corbaccio.
Percy Harrison Fawcett é il maggior paradigma dell´esploratore-avventuriero del XX secolo. Le sue spedizioni, le sue fotografie e filmati, il suo diario di viaggio e la sua stessa figura, ispirarono scrittori come Conan Doyle (per il prof. Challenger di Mondo perduto) e registi come Steven Spielberg.
Antico lottatore dell´India, instancabile esploratore dei confini boliviani e brasiliani, esperto nell´attraversare foreste, montagne e paludi… in piú fondatore della Royal Geographical Society di Londra.

Percy Harrison Fawcett è la versione british di Indiana Jones: altrettanto spericolato ma baffuto e con l’elmetto. All’inizio del novecento, questa ex spia per conto del governo di Sua Maestà si trasforma in un eccezionale esploratore e compie una serie di incredibili spedizioni nel cuore dell’Amazzonia, ossessionato dalla ricerca dei resti di una civiltà sconosciuta, per secoli identificata con il mitico El Dorado. Si imbatte in tribù armate di frecce avvelenate, combatte contro coccodrilli, giaguari, piraña, anaconda e insetti mortali. Nel 1925, durante l’ultima missione, scompare. Letteralmente. Nessuno saprà cosa ne è stato di lui.
Molte spedizioni si sono susseguite, invano, alla ricerca dei suoi resti. Nessuna però è stata raccontata come questa di David Grann, giornalista pantofolaio, che decide di partire per l’Amazzonia per ripercorrere le tracce dell’ultimo, grande, esploratore vittoriano. E che dalla sua avventura ha tirato fuori un libro, come scrive il New York Times, “entusiasmante come un thriller e vero come un reportage”, che negli Stati Uniti ha venduto mezzo milione di copie.


c-z-la-citta-perduta3361_img.jpg“Estrassi la mappa dalla tasca posteriore. Era umida e spiegazzata. Le linee tracciate, quelle del mio percorso, ormai sbiadite. Analizzai le note che vi avevo aggiunto, sperando che mi conducessero fuori dall’Amazzonia, evitando di penetrare ancor più in profondità. La lettera, la Z, era lì, ancora visibile al centro. Ora mi appariva più un ghigno beffardo che un simbolo, nient’altro che un’ulteriore prova della mia follia…
La riposi in tasca e cominciai a marciare cercando disperatamente una via d’uscita con tanta foga che i rami mi si spezzavano sul viso. Poi, vidi qualcosa muoversi tra gli alberi: «Chi c’è?» gridai.
Nessuna risposta. Scorsi una figura sgusciare tra i rami, poi un’altra. Erano sempre più vicine, e per la prima volta mi venne da chiedermi: Ma che diavolo ci faccio qui?”

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