Ho visto in questi giorni Niente da nascondere, che dire, si tratta di un opera molto affascinante e strana, un occhio spietato sulla borghesia intellettualoide (con personaggi che sembrano usciti da un film di Woody Allen) mostrando i guasti du una culla di cultura ed erudizione (pareti di libri e videocassette come barricate contro le invasioni barbariche), ma che di fronte al pericolo ignoto entra in crisi.
Un nastro registrato che racchiude immagini quotidiane, quasi banali: una strada in un quartiere residenziale di Parigi, alcuni passanti, un uomo che esce di casa. Con questo incipit metacinematografico (un film dentro il film) si apre “Niente da nascondere”, un angoscioso mystery scritto e diretto dal regista austriaco Michael Haneke, autore dell’apprezzato “La pianista”. Impietoso indagatore del marcio che si annida nella civiltà occidentale contemporanea, Haneke prende in prestito gli stilemi del thriller (come aveva già fatto – e rifarà – nello sconvolgente “Funny games”) ma ne demolisce la struttura, realizzando un giallo criptico e ambiguo che si propone di indagare ciò che è nascosto (da qui il titolo originale, “Caché”) dietro l’apparente facciata di benessere rappresentata dalla rispettabilità borghese: in pratica, un sepolcro imbiancato dietro il quale fanno capolino i consueti scheletri nell’armadio.
Lo spunto narrativo del film riprende lo stesso espediente già usato da David Lynch nel suo Strade perdute: una serie di videocassette anonime che giungono ad incrinare la tranquilla esistenza di Georges Laurent (un formidabile Daniel Auteuil), figura di spicco dell’elite intellettuale radical-chic nonché impeccabile padre di famiglia. Tenendo bene a mente la lezione di Pinter e del teatro della minaccia, Haneke aspetta a scoprire le proprie carte, ma in compenso suggerisce fin da subito la presenza, inquietante ed ossessiva, di un pericolo senza nome che pende sulla testa del protagonista. E mentre Georges tenta disperatamente di risolvere il “giallo” delle videocassette (che forse affonda le radici nell’infanzia dell’uomo), il ménage con la bella moglie Anne (Juliette Binoche) entra in crisi e tutte le sue certezze sembrano essere sul punto di crollare.
Ma la vicenda in cui Georges è coinvolto non tarda a far riaffiorare anche un passato oscuro e tormentato, in cui la dimensione psicologica del thriller (il protagonista verrà messo di fronte alla propria natura sottilmente meschina) si confonde con la consapevolezza dei fantasmi rimossi della recente storia europea (la guerra d’Algeria, il massacro di Parigi del 17 ottobre 1961). Da parte sua, Haneke conduce il gioco in maniera sapientissima, mantenendo lo spettatore sul filo della suspense e sbeffeggiandolo con un finale che si presta a una molteplicità di possibili interpretazioni.