Per chi non conosce G. K. Chesterton vale la pena recuperare una riflessione del suo più grande estimatore, di lui diceva l’immenso Jorge Luis Borges: “Quando Chesterton scrive un racconto poliziesco scrive qualcosa che va al di là di quel genere, che non ha d’altra parte niente di disonorevole, visto che fu inventato da Poe e coltivato da Dickens. Ma i racconti di Chesterton sono anche altro: intanto qualcosa come un quadro, poi come un dramma, infine come una parabola. E i suoi paesaggi, e i suoi personaggi che appaiono come attori al momento di entrare in scena, sempre così vivi, evidenti”. |
Il grande autore argentino profetizzò anche l’immortalità dei suoi scritti: “nei suoi racconti è sempre suggerita una spiegazione magica, grazie alla quale se il genere poliziesco morrà – cosa non impossibile, dato che il destino dei generi letterari sembra sia quello di sparire – i racconti di Chesterton saranno ancora letti in virtù della poesia che racchiudono e di quella magia”. |
Il libro in questione non è un poliziesco ma un romanzo permeato di un sottile humour inglese, è stato da poco ristampato da Bompiani e in questo inizio anno sono molte le opere di Chesterton che sono in fase di essere ristampate e riscoperte. |
In questo libro (del 1914) Chesterton, con la tipica cifra stilistica onirico-visionaria (a ironica tipica dei suoi scritti) immagina un’Inghilterra di cento anni dopo, quindi di oggi, che si è ormai “islamizzata”. In Inghilterra i grandi poteri economici hanno stretto un’alleanza con l’Islam, ritenendo che sia comunque meglio del Cristianesimo per mantenere un adeguato controllo sociale della popolazione. Lo strano connubio fra i potentati economici e la legge islamica porta alcune conseguenze parossistiche, tra cui, fra l’altro, l’introduzione di norme che mettono fuori legge gli alcolici. Ed è così che un capitano irlandese, Patrick Dalroy, decide di fomentare una rivoluzione popolare, portando in giro per tutto il paese l’insegna di un pub, “L’osteria volante”. E da qui parte una rivolta. |