Floydspotting – Guida alla geografia dei Pink Floyd di Alfredo Marziano e Mark Worden, Giunti Editore
Nel 1979 avevo faticato a digerire The Wall. Nel 1983 avevo ripudiatoThe Final Cut. Nel 1989 non ero andato a Venezia: al diavolo, pensavo, senza Roger Waters quella band non ha più ragione di esistere e di chiamarsi così. Sono un floydiano di ritorno, insomma. Uno che era (che è) rimasto aggrappato ai dischi della sua adolescenza: Atom Heart Mother, Meddle e The Dark Side Of The Moon consumati su una valigetta stereo con casse incorporate. Che ha scoperto Piper e Syd Barrett in ritardo, ma che da allora non li ha più abbandonati. Quando, accecato dai Clash e da London Calling, decisi avventatamente di disfarmi dei miei vinili prog e hard rock Anni ‘70, i 33 giri dei Pink Floyd rimasero negli scaffali, al loro posto. Segno che il cordone ombelicale con quella musica non era mai stato reciso, che il vecchio amore aspettava solo una piccola scintilla per esplodere di nuovo. La scintilla scoccò alla vigilia del Natale 2003, quando mi arrivò un invito ad organizzare e a presentare per conto della Provincia di Pesaro e Urbino, l’autunno seguente, una serata di musica, parole e immagini dedicata ai Floyd e alla loro storia. Floydspotting è nato da lì: da quei primi viaggi in Inghilterra, dalle prime ricerche sul campo, dai filmati e dalle interviste che io e Mark Worden, coautore dello spettacolo e del libro, avevamo accumulato per quel progetto. Mark vive a Milano ma è originario dell’area di Cambridge, città natale di Barrett, Waters e David Gilmour. Perché non approfittarne, ci siamo detti, per fare un viaggio a ritroso nel tempo, contattare vecchi amici e coetanei dei favolosi tre, ripercorrere e annotare sulla mappa i LORO luoghi della memoria? Le case in cui sono nati e in cui si incontravano nel doposcuola, le scuole che hanno (più o meno svogliatamente) frequentato, i pub dove trascorrevano le serate a coltivare sogni e rimorchiare ragazze, i locali dove trovarono i primi ingaggi come musicisti…
Un’evoluzione, se avete presente, di quelle cartine che a Hollywood vendono ai turisti a caccia di star e delle loro inaccessibili dimore. Con i college universitari, le casette middle class, i prati di Granchester Meadows e le strade lucide di pioggia al posto del sole e delle palme di California, delle piscine e dei villoni nascosti alla vista dei comuni mortali. Non è stato troppo difficile rintracciare i vecchi amici di Syd, Roger, David e Storm (Thorgerson), l’uomo che per i Floyd disegnava le mitiche copertine. Qualcuno vive ancora a Cambridge, altri sono traslocati sulla costa meridionale d’Inghilterra o nel Sud della Francia. Qualcuno è in pensione, e c’è persino chi si guadagna da vivere facendo spettacoli di prestidigitazione nelle convention aziendali. Tutti si sono sforzati di ricordare com’erano allora, loro e i futuri Pink Floyd. Com’era una cittadina inglese di quarant’anni fa, quando al posto dei Marks & Spencers e dei fast food c’erano sale da ballo per tè danzanti pomeridiani, vecchi cinematografi di inizio secolo, negozietti di dischi dove ascoltavi gli import di Bob Dylan come fossero preziosa merce di contrabbando. Ci hanno raccontato di Storm capitano della squadra di cricket, di Roger che faceva il bullo in moto, di Syd che s’alzava e lasciava l’aula durante l’ora di lezione perché tanto lì non succedeva niente di interessante: alla faccia degli insegnanti sadici e inetti e di quel preside, “il Becco”, che amava percuotere i suoi studenti con una scarpa da ginnastica. Abbiamo gironzolato intorno alla casa signorile diUmmagumma, dove i Tea Set e i Jokers Wild, gruppi musicali giovanili dei Nostri, incontravano lo sconosciuto Paul Simon e facevano inorridire i genitori snob di Libby January, futura signora Thorgerson. Abbiamo sbirciato dietro le tende della signora Vangie (la mamma di Storm) e della signora Mary (la mamma di Waters), che ancora oggi prendono il tè insieme. Abbiamo ammirato la villa dei signori Gale, dove un Barrett impasticcato restò per ore a fissare una prugna, un’arancia e una scatola di fiammiferi. Abbiamo sostato in commosso silenzio davanti alla casa dove Syd trascorse gli anni da recluso e gli ultimi istanti di vita, a St. Margaret’s Square.
Seguendo le orme di Barrett e di Waters verso il Camberwell College of Arts e il Regent Street Polytechnic, da lì alla capitale il passo è stato breve. Produttori discografici, musicisti, residenti e passanti dalla memoria lunga ci hanno aiutato a fare un tuffo indietro nella Swinging London del tempo che fu, quella del 14th Hour Technicolour Dreamall’Alexandra Palace, quella dello UFO Club e del Middle Earth, e della casa dove – si dice – Syd andò definitivamente in orbita a causa dell’Lsd, numero 101 di Cromwell Road. Ma Londra è anche la Royal Albert Hall, il vecchio Rainbow e la Earls Court, i templi musicali dei Floyd. È la centrale elettrica di Battersea su cui volava il maialino diAnimals, e gli studi Abbey Road che i quattro frequentarono assiduamente quasi quanto i Beatles. Poco lontano, nella periferia nord, c’è la fattoria dei Chalke, i proprietari della mucca pezzata immortalata sulla copertina di Atom Heart Mother. Vuoi non andare a farci due chiacchiere? E perché non dare un’occhiata all’Astoria, la magnifica casa galleggiante fatta costruire da Fred Karno, il manager di Chaplin e di Laurel & Hardy, che oggi Gilmour utilizza come studio privato di registrazione? A quel punto, tanto valeva noleggiare una macchina e farsi un giro al Dome di Brighton e al Mothers di Birmingham, esplorare a Wittering Beach la location del video di Arnold Layne e cercare a Saunton Sands traccia dei 700 letti sistemati sulla spiaggia da Storm per lo scatto di copertina di A Momentary Lapse Of Reason. Alla centodiciassettesima fermata abbiamo detto stop. Avevamo visto, sentito, fotografato abbastanza. E incontrato gente a suo modo straordinaria. Il burbero Storm, che quand’è in luna buona diventa una miniera di aneddoti, un “saucerful of secrets”. L’eccentrico Duggie Fields, che vive ancora nella casa abitata da Barrett e immortalata sulla copertina di The Madcap Laughs. Joe Boyd, il produttore di Arnold Layne, ma anche di Nick Drake, dei Fairport Convention e dei R.E.M.di Fables Of The Reconstruction. Roger Bunn, che nel ’67 condivideva con i Floyd il palco dello UFO Club e che a Tottenham Court Road si materializzò un giorno come una specie di zio buono delGrande Lebowski (è morto un anno esatto dopo il nostro incontro, riposi in pace). Ian “Imo” Moore, l’amico sfigato che si arrangiava a dormire sul divano di questo e di quell’altro e che per un certo periodo ha fatto anche da domestico a casa Gilmour. Abbiamo pensato che sarebbe stato bello ordinarli, quegli appunti e quei ricordi, in una guida turistica “sui generis” corredata di foto, cartine, indicazioni stradali, cenni storici e architettonici sui posti visitati. Perché quei luoghi, i luoghi dei Pink Floyd, raccontano molto della loro storia ma anche di una Old England che oggi non c’è più.